lunedì 30 marzo 2020

Recensione dello spettacolo teatrale Lettere a Theo (di Vincent Van Gogh)

Andai per la prima volta a teatro grazie alla scuola, che oltre ad insegnare molte nozioni, permette di imparare a trovare il tempo per tutto all'interno della giornata: per le cose da fare per dovere e per le cose belle e svaganti come l'arte, la musica, lo sport, la lettura, i viaggi... cose che ho sempre amato moltissimo. Non avevo mai visto uno spettacolo teatrale e mi sono piaciute moltissimo le scenografie ed il fatto che gli attori recitassero nello stesso momento in cui si trovavano davanti agli spettatori ed il modo di rappresentare l'opera in maniera molto più recitata.

Purtroppo non posso andare a teatro, al cinema, ai concerti, alle mostre d'arte o viaggiare, ma ho trovato comunque il modo per poter coltivare queste grandi mie passioni culturali. Ad esempio per il teatro, grazie a Rai 5 che ogni sabato sera alle 21:15 trasmette uno spettacolo teatrale, ne ho potuti vedere molti.

Questo di cui sto scrivendo la recensione, Lettere a Theo tratto dall'omonimo libro, l'ho trovato su internet. Ad interpretare Vincent Van Gogh è l'attore Vania Castelfranchi e nello spettacolo c'è l'accompagnamento musicale di Mario D'Orazio che canta in romanesco accompagnandosi con la fisarmonica.
 


Nelle lettere di Van Gogh al fratello Theo, a cui era legato moltissimo ed il quale lo aiutava economicamente, si capisce molto della personalità di questo grandissimo artista sfortunato e povero in vita ma amatissimo e molto conosciuto dopo la morte, di cosa rappresentavano per lui l'arte, la fede, la vita e racconta delle sue gioie e dei suoi dolori.

Questo è tutto quello che si evince nello spettacolo teatrale grazie alle lettere inviate dall'artista al fratello:
scrivere era l'unica cosa che aveva per comunicare con la famiglia perché non volevano vedere i suoi quadri; non accettavano il fatto che il loro figlio non avesse terminato di studiare e che facesse l'artista. Lui non considerava la scrittura il suo linguaggio perché l'arte era il suo mondo ma io penso che invece se avesse voluto sarebbe potuto diventare un grandissimo scrittore grazie alla sua sensibilità, al suo modo di vedere il mondo e la vita ed alla cultura che aveva grazie alla grandissima passione per la lettura;

credeva in Dio e lo vedeva ovunque nella natura: aveva studiato Teologia, ma poi aveva smesso: era uno dei suoi tanti fallimenti della vita nella quale il suo unico successo fu la pittura e il sostegno morale, economico e l'affetto del fratello Theo;

sognava una mostra tutta sua, dove la gente potesse vedere i suoi quadri che sarebbero dovuti essere esposti uno in ogni stanza affinché non si “disturbassero a vicenda” e in modo che potessero essere visti e toccati: era un grande sognatore e con le idee chiarissime sull'arte e spero che abbia potuto in qualche modo vedere che tutto il mondo conosce lui e le sue opere, che la sua vita non è stata vana nonostante l'abbia vissuta in solitudine, povertà e sofferenza;
 


dipingeva dalla mattina alla sera e non sentiva la fame, la sete, la stanchezza: era felice, non soffriva ed anche quando la gente lo additava dicendo: “guardate, quello è Vincent!”, lui era contento perché era come se dicessero “guardate, quello è Vincent il pittore!”
A 27 anni, dopo i tanti fallimenti dal punto di vista umano e professionale aveva deciso di essere un pittore, quella era la sua strada, quello lo rendeva felice;

due fratelli passeggiavano sulla spiaggia: uno era più ricco (Theo) e l'altro più semplice e povero (Vincent). Il fratello più ricco diceva all'altro che doveva finire di studiare altrimenti nella vita non avrebbe potuto fare nulla. L'altro gli rispose che lui non aveva bisogno di studiare: dipingeva dalla mattina alla sera. Ma il fratello insisteva con la sua tesi così Vincent si fece scuro in volto e non parlava più; poi vide un cane arruffato che si rotolava nella sabbia e disse al fratello: “Io da grande voglio essere come quel cane arruffato che si rotola nella sabbia”. Voleva scegliere cosa fare, fare quello che amava di più ed essere felice;

lui non dipingeva come gli altri pittori con gli occhi aperti ma chiusi e questo lo aveva imparato da solo: anche per questo non aveva bisogno di studiare. Era arrivato con la sua passione, l'istinto e la pratica ad imparare cose che nessuna scuola avrebbe potuto insegnargli. Una grande motivo d'orgoglio perché le cose alle quali ci si arriva da soli sono certamente più valorose di quelle alle quali si arriva solo perché qualcuno te le ha insegnate;

si raccomandava con il fratello di inviargli tele e tubi grossi di colori perché doveva realizzare il quadro così come lo aveva pensato: non poteva rimpicciolirlo. Il suo peso e la sua misura erano quelli. Theo si lamentava del fatto che Vincent usasse troppo olio, troppi colori, cose che non permettevano di vendere i quadri perché costavano troppo;
 


entusiasta scrisse al fratello che per la prima volta aveva una modella: una ragazza incinta che aveva trovato in strada e portata a casa: la famiglia era contraria perché era una prostituta ma lui diceva che non era così perché l'aveva portata con sé e viveva con lui e si difendeva dicendo che lo aveva fatto per carità cristiana, quella che gli avevano insegnato i genitori;

in un caffè aveva incontrato una ragazza della quale si era innamorato: lui le parlava e parlava e lei gli disse: “Vincent come sei pesante” così lui uscì e si tagliò un lembo d'orecchio e glielo portò: in questo modo si era fatto piccolo, avrebbe potuto portarlo con sé e parlargli quando lo avrebbe voluto. Aveva compiuto questo gesto solo per amore, ma era stato interpretato da tutti come un gesto che dimostrava l'incipiente follia che poi lo avrebbe fatto internare in manicomio;

quando cominciarono per lui gli internamenti in manicomio la cosa che lo faceva soffrire di più era il fatto che non gli consentivano di terminare i propri dipinti, infatti il giorno seguente non li trovava più: chiedeva che gli permettessero di terminarli e poi avrebbero potuto anche buttarli. Poi non dipinse più perché i dottori pensavano che gli facesse male: non era più un pittore e non avevano capito che dipingere era l'unica cosa che lo faceva sentire bene e gli dava felicità: era la sua unica ragione di vita;

nel luglio del 1890 esce e si spara un colpo in testa. I vicini vedendolo gli chiesero cosa fosse successo e lui rispose: “Mi sono sparato un colpo in testa perché sono un peso per tutti, ma ho mancato il colpo”. Entrò a casa, si mise a letto e morì dopo due giorni. Da una lettera di Theo alla sorella si è saputo che Vincent era felice e che le ultime parole che disse furono: “Caro fratello, è stato tutto una grande sofferenza, è stato tutto così difficile, così pesante ma non vedo l'ora di tornare indietro”;

nessuno voleva fare il funerale a Vincent perché si era ucciso ma i suoi amici riuscirono a trovare un prete in un paese lontano disposto a celebrare le esequie e un carro dove fu messo il suo corpo, tutti i suoi quadri e moltissimi fiori. Al funerale parteciparono pittori, scrittori, poeti, minatori, prostitute, ubriaconi. Ogni amico di Vincent porta con sé un quadro e molti mesi dopo il fratello Theo riceve moltissime lettere nelle quali era scritto che i quadri di Vincent sono stupendi.

Alla fine dello spettacolo teatrale è citato un personaggio del teatro e grandissimo poeta: Antonin Artaud il quale ha vissuto un'esperienza molto simile a quella del pittore e su cui ha scritto il libro
“Vincent Van Gogh, il suicidato della società”. Anche lui fu internato al manicomio e in uno scritto ringrazia ironicamente i dottori per quella luce che avevano sparato nella propria mente e in quella di altri con le medicine perché adesso tutte le parole più belle che riusciva a trovare negli angoli più bui della propria psiche non riusciva più a trovarle e di conseguenza non riusciva più a scrivere.

Questo spettacolo teatrale mi è piaciuto moltissimo perché molto interessante è la vicenda umana e professionale di uno dei più grandi e famosi pittori di tutti i tempi: Vincent Van Gogh.
A volte è difficile che gli altri capiscano quanto importante sia quello che aiuta a vivere, che è il senso della propria vita, che dà felicità, che permette di esprimersi, di mettere il meglio di sé in un'attività, che lo si fa perché fa stare bene anche se magari economicamente o dal punto di vista del successo non si hanno riscontri immediati o grandi come si vorrebbero.
In modo particolare quando sembra che per sé non ci sia nessuna strada nella vita da seguire, nessun posto nel mondo, tanta solitudine e sofferenza se si trova qualcosa che fa stare bene, aiuta a vivere e ci si mette il meglio di sé non la si deve abbandonare mai: lottare contro tutto e tutti affinché faccia per sempre parte della nostra vita.

Recentemente su rai 5 ho sentito parlare di un'altra pittrice che non conoscevo: Berthe Morisot sulla quale ho fatto una ricerca su internet per conoscere meglio la sua storia e vedere le sue opere. Aveva dipinto tutta la vita adattandosi a ritrarre solo qualche paesaggio, donne, bambini e scene domestiche perché in quanto donna non poteva avere la libertà dei suoi colleghi uomini per dipingere e nel certificato di morte alla voce professione c'era scritto: nessuna. Non le è stato riconosciuto quello che aveva fatto per tutta la vita in quanto donna ma sono certa che anche lei come Vincent Van Gogh poteva esclamare: “Comunque sia, va tutto benissimo” perché se per tutta la vita fai qualcosa con passione, al meglio e ti fa stare bene, non si spreca la vita e in un modo o nell'altro ci sarà un riconoscimento anche postumo. Spero con questa parte del mio articolo di contribuire al riconoscimento come pittrice di Berthe Morisot e che diventi sempre più conosciuta.

Mi riconosco moltissimo in queste storie di artisti come anche la poetessa Emily Dickinson perché a volte la vita è vuota di cose importanti e non c'è un posto per sé in nessun luogo e scrivere rappresenta per me la cosa più bella ed importante che faccio nella mia vita ed anche se non dovessi vedere mai pubblicati i miei libri, saprò di aver fatto tutta la vita la cosa che mi piace di più e che mi aiuta a vivere: il pubblicare ciò che scrivo sul mio blog e il vedere il numero di lettori e di visualizzazioni su Twitter dei miei tweet è per me un grandissimo successo.



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