Un padre dovrebbe essere
per ogni figlio/a la persona che dovrebbe assicurare amore,
protezione, rispetto, serenità morale e materiale, felicità, gioia,
un appiglio a cui aggrapparsi quando si ha qualche problema, una
persona che gioisca dei successi raggiunti e che tenga al fatto che
il figlio/a costruisca, liberamente, la vita che sogna per sé in
tutto.
Purtroppo, nella vita
un'immensa sfortuna (la più grande) è quella di trovare nascendo un
padre padrone che non sa cosa significhi amare i figli (e
nessun'altra persona) perché ama solo se stesso e i soldi, che fa il
tiranno e il dispettoso con chi sa che non può difendersi come
vorrebbe, che non rispetta chi ha vicino da una vita anche se avrebbe
meritato di essere abbandonato subito, che ogni pretesto è buono per
litigare e fare l'inferno per ogni cosa e persino per il cibo, che
da' solo infelicità e tristezza, su cui non puoi mai contare perché
da' sempre problemi, che è felice se sei infelice e che vorrebbe far
fare al figlio/a/i la vita che lui decide e che è il contrario di
quella che vorrebbe vivere ogni componente della prole.
Neanche gli artisti sono
immuni dal trovare nascendo un “padre” così. Tra gli scrittori
ho letto due libri dedicati a due padri padroni: “Lettera al padre”
di Franz Kafka e “Padre Padrone” di Gavino Ledda, uscito nel
1975.
Il libro “Padre
Padrone” di Gavino Ledda si apre con la scena raccontata dallo
scrittore quando il padre, convinto che lui fosse un oggetto di sua
proprietà, va a prelevarlo con la coercizione dalla classe a soli
sei anni, mentre frequentava la prima elementare. Doveva lavorare. Il
lavoro era più importante dello studio.
Come dimostrò più
tardi, per lo scrittore lo studio era importantissimo, ma allora non
aveva nessun modo per ribellarsi e dovette assecondare il volere del
“padre”. Cominciò così per lui il duro lavoro nei campi e con
gli animali: si alzava al mattino prestissimo e lavorava duramente
tutto il giorno.
Se sbagliava qualcosa il
“padre” alzava le mani. E quando qualche volta, per via
dell'immensa fatica fatta durante il giorno precedente, il suo fisico
fragile e piccolo non reggeva, tanto da non riuscire ad alzarsi la
mattina, prendeva le botte più pesanti.
La sua vita era resa un
inferno da colui che avrebbe dovuto avere l'interesse di rendergliela
la più bella del mondo: questo è il dovere di un padre e il diritto
di un figlio/a.
Ovviamente sin da piccolo
e poi crescendo, aveva capito che quella non era vita e che avrebbe
dovuto ribellarsi.
A chi il destino infausto regala un “padre”così, sa che al più presto possibile dovrebbe arrivare il modo per uscire dalla prigione materiale e morale nella quale vive, ma non è facile né trovare come uscirne né cambiare totalmente la propria vita in meglio, anche perché a volte si chiede aiuto e nessuno da' una mano, molto spesso perché non vuole e a volte perché non crede alla gravità della situazione nella quale quella persona vive.
Gavino Ledda trovò il
modo per uscirne grazie al servizio di leva, attraverso il quale
riuscì ad andarsene di casa e a prendere la licenza elementare e la
terza media, decidendo poi di diplomarsi ed infine laurearsi in
Lettere.
Dopo che era uscito di
casa, contando solo sulle proprie forze perché anche quando Gavino
era grande il “padre” non lo appoggiò né moralmente né
materialmente per i suoi studi, qualche volta vi faceva ritorno e
alla fine del libro è raccontato l'episodio in cui lui ascoltava la
radio e suo “padre” voleva che la spegnesse; lui non voleva
esaudire la sua richiesta per fargli un piccolo dispetto a chi tanto
lo aveva fatto soffrire. Si alzò e voleva aggredire con le mani il
figlio, ma quest'ultimo non si abbassò al suo livello e lo umiliò
andando a prendere dei soldi che aveva guadagnato e buttandoglieli in
faccia gli disse: “Tieni, solo quando conti dei soldi sei felice”,
come per dirgli che non aveva un'anima e della vita non aveva capito
nulla perché sono l'amore dato e l'amore ricevuto le cose che danno
il senso più grande alla vita e che meno male fai e più ricco sei.
Scommetto che il “padre” per quel gesto non si sentì minimamente
umiliato perché i “padri” che fanno del male morale, psicologico
o fisico ai figli (ed anche alle mogli), non hanno dignità, perché
se l'avessero capirebbero che prima di umiliare gli altri, umiliano
se stessi e che il male che fanno, prima o poi, gli si ritorcerà
contro.
Una cosa verissima
scritta nel libro da Gavino Ledda è che quando si ha un padre
padrone, appena mette piede in casa l'atmosfera cambia in negativo.
Inoltre si possono avere
gioie a scuola, nel lavoro o per qualsiasi altra cosa, ma una
“persona” così riesce ad avvelenare tutto e a rattristare
infinitamente qualsiasi attimo della vita di chi vive con lui anche
quando non c'è perché prima di andare via lascia sempre nella mente
qualche grande tristezza, affinché anche in sua assenza ti faccia
soffrire.
Conobbi questo libro e lo
scrittore leggendo la sinossi e la biografia in un libro allegato ad
una collana di cinque libri scelti dai lettori rispondendo ad un
sondaggio fatto da una rivista letteraria, nel quale erano raccolte
tutte le sinossi dei libri in gara per i decenni 1960, 1970, 1980,
1990 e 2000.
Mi colpirono moltissimo
sia il fatto che il libro parlasse di un padre padrone sia la vita
dello scrittore Gavino Ledda che a 20 anni era analfabeta e a 31 anni
divenne Professore di Lettere.
Un padre padrone non
vuole mai che i figli studino perché i maschi devono lavorare per
portare soldi a lui e le femmine devono stare in casa a pulire e a
non avere assolutamente nulla in tutti i campi della vita. Vedere i
figli (e la moglie) totalmente perduti ed infelici è la sua felicità
più grande perché un padre padrone anche se ha tutto non è felice
perché della vita non capisce nulla e non si accorge della fortuna
che ha. Solo fare del male ai componenti della famiglia che ha creato
gli da' felicità perché nella sua mente perversa ed irrecuperabile,
gode nel vederli tristi.
A volte il successo più
grande della vita è quello di riuscire a sovvertire completamente un
infausto destino in cui si è un soggetto totalmente passivo in una
vita che ci si sceglie autonomamente, non facendosi fermare da niente
e da nessuno e riuscendo ad allontanarsi da chi ti ha fatto soffrire
tantissimo e non la smetterà mai fino a quando vivrà, se gliene dai
la possibilità.
La tristezza che con i
tantissimi anni passati al suo fianco e le innumerevoli occasioni in
cui ti ha fatto soffrire, difficilmente potrà andare via e mai si
potrà dimenticare.
Un “padre padrone”
segna in negativo per tutta la vita ed è colui che rappresenta uno
sfruttatore per i figli maschi e la perdizione totale in ogni campo
della vita per le figlie femmine e la moglie.
Per chi riesce a
liberarsi per sempre di una “persona” così, credo che sia la
felicità più grande che abbia mai provato e che nessun'altra cosa
potrà mai regalare una gioia altrettanto grande perché si passa
dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, dalla perdizione
in tutto alla realizzazione in ogni piccola e grande cosa della vita,
dall'inquietudine alla serenità, dalla prigione alla libertà, dalla
guerra alla pace.
Nessun commento:
Posta un commento