lunedì 15 giugno 2020

Recensione del libro “Padre padrone” di Gavino Ledda

Un padre dovrebbe essere per ogni figlio/a la persona che dovrebbe assicurare amore, protezione, rispetto, serenità morale e materiale, felicità, gioia, un appiglio a cui aggrapparsi quando si ha qualche problema, una persona che gioisca dei successi raggiunti e che tenga al fatto che il figlio/a costruisca, liberamente, la vita che sogna per sé in tutto.

Purtroppo, nella vita un'immensa sfortuna (la più grande) è quella di trovare nascendo un padre padrone che non sa cosa significhi amare i figli (e nessun'altra persona) perché ama solo se stesso e i soldi, che fa il tiranno e il dispettoso con chi sa che non può difendersi come vorrebbe, che non rispetta chi ha vicino da una vita anche se avrebbe meritato di essere abbandonato subito, che ogni pretesto è buono per litigare e fare l'inferno per ogni cosa e persino per il cibo, che da' solo infelicità e tristezza, su cui non puoi mai contare perché da' sempre problemi, che è felice se sei infelice e che vorrebbe far fare al figlio/a/i la vita che lui decide e che è il contrario di quella che vorrebbe vivere ogni componente della prole.

Neanche gli artisti sono immuni dal trovare nascendo un “padre” così. Tra gli scrittori ho letto due libri dedicati a due padri padroni: “Lettera al padre” di Franz Kafka e “Padre Padrone” di Gavino Ledda, uscito nel 1975.
Il libro “Padre Padrone” di Gavino Ledda si apre con la scena raccontata dallo scrittore quando il padre, convinto che lui fosse un oggetto di sua proprietà, va a prelevarlo con la coercizione dalla classe a soli sei anni, mentre frequentava la prima elementare. Doveva lavorare. Il lavoro era più importante dello studio.

Come dimostrò più tardi, per lo scrittore lo studio era importantissimo, ma allora non aveva nessun modo per ribellarsi e dovette assecondare il volere del “padre”. Cominciò così per lui il duro lavoro nei campi e con gli animali: si alzava al mattino prestissimo e lavorava duramente tutto il giorno.
Se sbagliava qualcosa il “padre” alzava le mani. E quando qualche volta, per via dell'immensa fatica fatta durante il giorno precedente, il suo fisico fragile e piccolo non reggeva, tanto da non riuscire ad alzarsi la mattina, prendeva le botte più pesanti.
La sua vita era resa un inferno da colui che avrebbe dovuto avere l'interesse di rendergliela la più bella del mondo: questo è il dovere di un padre e il diritto di un figlio/a.
Ovviamente sin da piccolo e poi crescendo, aveva capito che quella non era vita e che avrebbe dovuto ribellarsi.


A chi il destino infausto regala un “padre”così, sa che al più presto possibile dovrebbe arrivare il modo per uscire dalla prigione materiale e morale nella quale vive, ma non è facile né trovare come uscirne né cambiare totalmente la propria vita in meglio, anche perché a volte si chiede aiuto e nessuno da' una mano, molto spesso perché non vuole e a volte perché non crede alla gravità della situazione nella quale quella persona vive.
Gavino Ledda trovò il modo per uscirne grazie al servizio di leva, attraverso il quale riuscì ad andarsene di casa e a prendere la licenza elementare e la terza media, decidendo poi di diplomarsi ed infine laurearsi in Lettere.

Dopo che era uscito di casa, contando solo sulle proprie forze perché anche quando Gavino era grande il “padre” non lo appoggiò né moralmente né materialmente per i suoi studi, qualche volta vi faceva ritorno e alla fine del libro è raccontato l'episodio in cui lui ascoltava la radio e suo “padre” voleva che la spegnesse; lui non voleva esaudire la sua richiesta per fargli un piccolo dispetto a chi tanto lo aveva fatto soffrire. Si alzò e voleva aggredire con le mani il figlio, ma quest'ultimo non si abbassò al suo livello e lo umiliò andando a prendere dei soldi che aveva guadagnato e buttandoglieli in faccia gli disse: “Tieni, solo quando conti dei soldi sei felice”, come per dirgli che non aveva un'anima e della vita non aveva capito nulla perché sono l'amore dato e l'amore ricevuto le cose che danno il senso più grande alla vita e che meno male fai e più ricco sei. Scommetto che il “padre” per quel gesto non si sentì minimamente umiliato perché i “padri” che fanno del male morale, psicologico o fisico ai figli (ed anche alle mogli), non hanno dignità, perché se l'avessero capirebbero che prima di umiliare gli altri, umiliano se stessi e che il male che fanno, prima o poi, gli si ritorcerà contro.
Una cosa verissima scritta nel libro da Gavino Ledda è che quando si ha un padre padrone, appena mette piede in casa l'atmosfera cambia in negativo.
Inoltre si possono avere gioie a scuola, nel lavoro o per qualsiasi altra cosa, ma una “persona” così riesce ad avvelenare tutto e a rattristare infinitamente qualsiasi attimo della vita di chi vive con lui anche quando non c'è perché prima di andare via lascia sempre nella mente qualche grande tristezza, affinché anche in sua assenza ti faccia soffrire.

Conobbi questo libro e lo scrittore leggendo la sinossi e la biografia in un libro allegato ad una collana di cinque libri scelti dai lettori rispondendo ad un sondaggio fatto da una rivista letteraria, nel quale erano raccolte tutte le sinossi dei libri in gara per i decenni 1960, 1970, 1980, 1990 e 2000.
Mi colpirono moltissimo sia il fatto che il libro parlasse di un padre padrone sia la vita dello scrittore Gavino Ledda che a 20 anni era analfabeta e a 31 anni divenne Professore di Lettere.
Un padre padrone non vuole mai che i figli studino perché i maschi devono lavorare per portare soldi a lui e le femmine devono stare in casa a pulire e a non avere assolutamente nulla in tutti i campi della vita. Vedere i figli (e la moglie) totalmente perduti ed infelici è la sua felicità più grande perché un padre padrone anche se ha tutto non è felice perché della vita non capisce nulla e non si accorge della fortuna che ha. Solo fare del male ai componenti della famiglia che ha creato gli da' felicità perché nella sua mente perversa ed irrecuperabile, gode nel vederli tristi.

A volte il successo più grande della vita è quello di riuscire a sovvertire completamente un infausto destino in cui si è un soggetto totalmente passivo in una vita che ci si sceglie autonomamente, non facendosi fermare da niente e da nessuno e riuscendo ad allontanarsi da chi ti ha fatto soffrire tantissimo e non la smetterà mai fino a quando vivrà, se gliene dai la possibilità.
La tristezza che con i tantissimi anni passati al suo fianco e le innumerevoli occasioni in cui ti ha fatto soffrire, difficilmente potrà andare via e mai si potrà dimenticare.

Un “padre padrone” segna in negativo per tutta la vita ed è colui che rappresenta uno sfruttatore per i figli maschi e la perdizione totale in ogni campo della vita per le figlie femmine e la moglie.
Per chi riesce a liberarsi per sempre di una “persona” così, credo che sia la felicità più grande che abbia mai provato e che nessun'altra cosa potrà mai regalare una gioia altrettanto grande perché si passa dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, dalla perdizione in tutto alla realizzazione in ogni piccola e grande cosa della vita, dall'inquietudine alla serenità, dalla prigione alla libertà, dalla guerra alla pace.


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